Per l’Enciclopedia Treccani per paradosso si intende “un’affermazione, una proposizione, una tesi, un’opinione che, per il contenuto o per la forma in cui è espressa, appare contraria all’opinione comune o alla verosimiglianza e riesce perciò sorprendente o incredibile.
Senza scomodare l’antica Grecia (da cui la parola ha origine, da “parà” (contro) e “doxa” (opinione), è indubbio che quanto sta accadendo sui listini di mezzo mondo può tranquillamente essere considerato come tale.
Stiamo, infatti, assistendo ad un fenomeno se non strano almeno non così frequente, in cui un po’ tutte le asset class stanno salendo: a guardare bene, esattamente quanto successo nel corso del 2022, però di segno opposto (allora solo le materie energetiche chiusero l’anno in territorio positivo, con la decorrelazione – cioè variazioni di rendimenti non interdipendenti – che andò “a farsi friggere”).
Nell’anno che sta per avviarsi alla conclusione, per quanto debbano ancora verificarsi eventi che potrebbero, teoricamente, “alterare” un pochino il clima positivo che pervade i mercati (ovviamente le Presidenziali Usa, anche quelle in Giappone di fine settimana prossima, per non parlare della delicata situazione geopolitica in alcune parti del mondo), al momento nulla sembra preoccupare più tanto i mercati.
Le borse hanno in molti casi toccato, nelle ultime settimane, nuovi record (vd Wall Street), l’oro ha superato, per la prima volta nella storia, i $ 2.700, gli spread continuano a ridursi: in sequenza sono state riportate asset class, nell’ordine, più “rischiosi”, più “sicuri” e, se vogliamo, più rivolti alla difesa (mercato obbligazionario, anche se, in questo caso, andrebbe fatta distinzione tra bond governativi e bond aziendali, con questi ultimi considerati a rischio maggiore).
Come detto, l’oro, la settimana scorsa, ha toccato livelli mai raggiunti, superando i $ 2.700, con una corsa, a detta di molti analisti, che non sarebbe ancora finita, con la possibilità che raggiunga, in tempi non lontani, i $ 3.000.
Essendo il “bene rifugio” per eccellenza, il “metallo giallo” di solito sale quando ci si trova davanti a rischi geopolitici veramente gravi. Peraltro, viene comprato anche quando i rendimenti obbligazionari sono piuttosto “risicati” (l’oro non distribuisce cedole-dividendi), per “subisce meno” la concorrenza di quei prodotti. Ma, paradossalmente, anche quando ci si trova davanti ad un’elevata inflazione (essendo un bene reale – in più con il fattore “scarsità” sempre più evidente), tende a salire di prezzo.
In questa fase, a farlo salire, senz’altro contribuiscono non poco le tensioni medio-orientali, con Israele “occupato” su più fronti (Hezbollah in Libano, Hamas sulla striscia di Gaza, Iran – forse il rischio maggiore – verso Est).
Ne hanno fatto incetta molte Banche Centrali, ma anche i risparmiatori tradizionali, attraverso strumenti finanziari (ETF) che comprano “oro fisico”.
Ma, a fronte di “venti di guerra”, di norma, “l’appetito al rischio” dovrebbe placarsi.
Invece molti indici, a partire, come detto, da quelli USA, hanno toccato, nel corso dell’anno, record storici (lo S&P 500 solo quest’anno lo ha ritoccato ben 45 volte).
A favorire la loro crescita indubbiamente l’atteggiamento espansivo delle maggiori banche Centrali al mondo (solo quella giapponese si ostina, in questa fase, ad avere un atteggiamento più “severo”, anche se il termine “severo” rientri nel concetto di relatività), con i tassi che hanno intrapreso la strada della discesa.
A questa si accompagna una situazione economica che, per quanto non goda di ottima salute, di certo si tiene ben lontana dalla recessione, cosa che, a sua volta, comporta dividendi visti in crescita anche nell’anno che verrà.
Rimangono i titoli obbligazionari.
Detto che gli spread sono ovunque in calo (il nostro venerdì ha toccato i 117 punti (a inizio anno era a 167 bp), si stanno stringendo anche gli spread tra i titoli governativi e emissioni corporate (negli USA, per es, sono ai minimi da circa 20 anni a questa parte).
Da noi, poi, proprio venerdì sera sono arrivati i “verdetti” di S&P Global Ratings e Fitch, che hanno, entrambe, confermato i rating attuali (per S&P siamo BBB con outlook stabile). Valutazione che forse ha un valore ancora superiore perché giunge a “cavallo” della presentazione della nuova Finanziaria, cosa che, in passato, richiama alla mente situazioni meno “confortevoli”.
Mercati asiatici questa mattina piuttosto spenti.
A Tokyo il Nikkei mantiene la parità per una virgola (+ 0,09%).
In Cina, andamento analogo per Shanghai ( + 0,088%), mentre soffre, a Hong Kong, l’Hang Seng (- 1,67%).
Positivi Seul (Kospi + 0,5%) e, a Taiwan (Taiex + 0,6%).
Incerti, per il momento, i futures, tutti appena sotto la parità.
Petrolio in cerca di conferme, con il WTI, che dopo essere sceso sotto i $ 70, questa mattina tenta la risalita ($ 69,05, + 0,42%).
Gas naturale Usa $ 2,251 (- 0,44%).
Non si ferma l’oro, che troviamo a $ 2.743 (+ 0,40%).
Spread a 116,7.
Rendimento BTP ancora in discesa (3,36%).
Bund 2,20%.
Treasuries al 4,081%.
€/$ a 1,0856.
Bitcoin sempre lanciatissimo, ormai ad un passo dai $ 70.000 (69.265).
Ps: Houston, abbiamo un problema…in realtà, come ben sappiamo, i problemi sono ben più di uno. Perché i problemi, è cosa nota, non arrivano mai da soli. Parlando di giovani, si è calcolato che in Italia ogni 8,5 giovani che lasciano il nostro Paese ne arriva uno. Si parla, in questo caso, di flussi migratori che coinvolgono i Paese avanzati (nella fattispecie Regno Unito, Stati Uniti, Germania, Svizzera, Francia, Spagna, Paesi Bassi, Australia, Belgio). Ma se la percentuale, per quanto negativa, si ferma a 1/7 per il Nord Italia, tocca il rapporto di 1/20 per il Sud, con una punta di 1/30 per la Calabria (1/6 per la Lombardia, 1/4 per l’Alto Adige, 1/10 con il Veneto, etc). Ecco perché probabilmente parlare di futuro in Italia è così difficile…